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mercredi 10 septembre 2008


Souvenirs

Rispettabile Giudice sul Mulo,

Già da tempo frequento le pagine del Suo spazio letterario, affascinato dalla qualità delle pubblicazioni e dall’elettrica vivacità delle discussioni che alcune di esse suscitano. Come esprimerLe la gradevole sorpresa di ritrovarmi in un lungo dove si sviluppano sì fervide contaminazioni d’esperienze, vere, veritiere o frutto di magistrali finzioni? Che poi, Lei m’insegna Signor Giudice, non è questo che conta in arte.

Signor Giudice, mi trovo, ben presto da un lustro, lontano d’Italia. Da tale distanza, fisica e culturale, le Sue parole risuonano alle mie orecchie in tutte le tonalità della nostalgia. Come spiegarLe il senso d’estraneità, di solitudine addirittura, che può colpire in giornate plumbee, uno spirito lontano dalla propria terra? Il paese di Tartuffe, Lecoq e Gaulier, non si presenta sempre così sorridente. E la lontananza dal popolo del Dolce Stil Novo può diventare, a momenti, straziante. Il suo spazio, così, è diventato per me un appiglio, un rifugio, un dolce cullarsi fra le corrispondenze degli animi.

“Ah l’Italia è sempre l’Italia”, intona chi in Italia non è più andato, ma “all’estero si stava meglio” risponde chi in Italia invece è tornato. Ed io, Signor Giudice, che mi trovo lontano dai miei luoghi d’origine, non sicuro di rivederli, ed incerto sul formare una nuova casa altrove, non so a chi dar ascolto. “Ascolti il suo cuore”, mi potrebbe suggerire Lei, ma il mio cuore, Signor Giudice, l’ho lasciato in troppi posti, perché in questi anni, ne ho visti di posti e di gente. Ho visto facce che Lei non può nemmeno immaginare, risate sdentate di vecchi ristoratori asiatici e lacrime nere di rimmel sui visi di giovani donne che ho amato, e corpi stanchi e nodosi che danzano come per incanto all’alba nel lago, seguendo nell’aria ginnastiche indescrivibili. Rammento il sapore di cibi esotici cotti a lato di strade trafficate, in un inverno umido, e quei grattacieli, mirabile prodigio dell’ingegno umano, mirabile prodigio dell’angoscia dell’uomo. Ricordo giornate afose ed il sapore della nebbia sulla lingua. Rimembro uova nere cotte nel tè, il chiosco dei dolci il sabato mattina e polli in gabbia nel mercato di Taipei. Rammento monaci buddisti prendere la metropolitana e ragazzine in minigonna camminare lentamente su scarpe dai tacchi vertiginosi. Ricordo ragazzini dalle mani sporche di terra leggere per ore riviste in libreria ed uscire finalmente senza comprar niente. E riecheggiano, invece, i suonatori di Jazz, sui boulevard illuminati, in cerca di ticket-restaurant. Ricordo vecchi clochard dal naso rotto domandarmi due euro per un panino. Ricordo il tempo passato ad osservare un muro grigio di pioggia interminabile, attraverso finestre di un posto che ho chiamato casa.

Signor Giudice, il mio cuore è davvero in tanti luoghi, che a dire il vero, non saprei più dov’andarlo a cercare. Lo so Signor Giudice, mi ha già preso per un altro Cagliostro e la sento suggerirmi con tono austero: “si metta in riga, decida insomma dove vuole andare”. Non è come pensa, Signor Giudice, ma non voglio annoiarla con queste chiacchere. La ringrazio invece per questo Suo spazio e la prego, Signor Giudice, sia indulgente.

Le invio i miei più rispettosi saluti,

Carlo Ferri

P.s. Mi permetto d’allegare poche righe che ho avuto il piacere di scrivere. Vedere la loro pubblicazione, sulle Sue pagine, sarebbe per me gran gioia.

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